A Udine esiste un palazzo imponente, ma dalla facciata quasi anonima, poco fuori dal centro storico, dove la gente solitamente passa frettolosa in auto senza prestargli particolare attenzione.
Invece è un edificio importante, un vero scrigno di tesori nascosti:
è il Palazzo Arcivescovile, più anticamente noto come Palazzo Patriarcale.
Fu infatti la residenza in città dei Patriarchi di Aquileia quando, dalla fine del ‘500, lasciarono il Castello, ma fu nel ‘700 che l’edificio subì sostanziali lavori di trasformazione e arricchimento, che ancor oggi possiamo ammirare.
In queste stanze vennero gestite vite, patrimoni, attività pastorale e cultura e due furono i Patriarchi che lasciarono il segno: Giovanni Dolfin e il nipote Dionisio.
I Dolfin erano veneziani, abituati allo sfarzo ed estremamente colti: lo stemma di famiglia, tre delfini in campo azzurro, appare ovunque, un sigillo, a perpetuo ricordo della grandezza della loro casata.
Giovanni era un gran collezionista di libri, siamo in un’epoca in cui le carriere ecclesiastiche erano affari di famiglia e quindi investe, il nipote prediletto, a succedergli nella carica.
Alla morte dello zio, nel 1698, Dionisio (quando si dice un nome un destino) arriva a Udine e subito si dedica alla trasformazione del Palazzo.
Chiama l’architetto Domenico Rossi e affida le decorazioni a Giovan Battista Tiepolo, artista già affermato sulla piazza di Venezia, che lavora in queste stanze tra il 1726 e il 1729.
L’impatto iniziale doveva far comprendere subito l’importanza del luogo,quindi il Patriarca ordina la costruzione dello Scalone d’onore, realizzato nel 1725, dove troviamo la prima opera di Gianbattista “La caduta degli Angeli Ribelli” e il risultato è stupefacente.
Tiepolo ha 30 anni arriva ad Udine, per la prima volta e si ferma fino al 1729, ma trova proprio qui, sulla terraferma nella residenza del Patriarca, un ambiente più libero, che gli permette di sperimentare e crescere. Udine, insieme a Venezia, sarà una tappa fondamentale per la sua carriera artistica, che lo porterà ad essere conosciuto in tutta Europa.
Ancor oggi si percorre questo scalone tra ammirazione e sorpresa, arrivando al primo piano, attualmente sede del Museo Diocesano dove sono conservati oggetti di arte sacra e sculture lignee, da tutta la diocesi, recuperate e restaurate dopo il terremoto del ’76.
Dionisio Dolfin fu un visionario: il suo primo atto fu creare la biblioteca patriarcale, la prima pubblica della città e tra le prime in Italia, partendo dal lascito dello zio Giovanni e arricchendola con sempre nuove acquisizioni, fino a raggiungere i 10.000 volumi.
A questi, nel ‘800, si è aggiunto il lascito Bartoliniano, altrettanto ricco di tomi e incunaboli antichi e che insieme formano l’attuale raccolta di più di 20.000 preziosi volumi
La Sala della Biblioteca lascia senza parole:possiamo solo immaginare lo stupore e la soggezione che dovevano provare i fruitori dell’epoca.
Per accedervi, anche da parte dei visitatori esterni, venne costruita la splendida scala ovale, sormontata dal Redentore dipinto da Ludovico Dorigny, che ancor oggi viene utilizzata: la Biblioteca è un unico salone, ricoperto sui 4 lati da imponenti scaffalature intarsiate, su cui scorre un ballatoio con un secondo ordine di scaffali, che permette l’accesso a una zona più riservata, infatti qui si trova la Sala dei Libri Proibiti, dove venivano conservati volumi “delicati” per la Chiesa, come gli scritti di Giordano Bruno.
Il tutto è sovrastato da un telero sul soffitto di 44 mq dell’artista Nicolò Bambini, dedicato alla Sapienza, in cui spicca la figura che rappresenta la Matematica: un po’ discinta e con la testa alata, regge il compasso,
una visione particolare che forse potrebbe aiutare parecchi alunni ad appassionarsi alla materia!Le sale successive sono più antiche: il Salotto Giallo con i suoi stucchi e quello Azzurro dallo splendido soffitto a baldacchino cinquecentesco attribuito a Giovanni da Udine, era l’antica sede del Tribunale, hanno entrambi magnifici pavimenti intarsiati.
Ma le vere sale di rappresentanza e di gestione del potere patriarcale, sono le successive Sala del Tribunale, o Sala Rossa e la Sala del Trono.
Nella Sala Rossa il Tiepolo dipinse sul soffitto il Giudizio di Re Salomone: un affresco grandioso, bellissimo nell’esecuzione prospettica, che permette di cogliere i volti di tutti personaggi e la scena nella sua interezza. Ma è la Sala del Trono la più maestosa: sormontata da un ballatoio, era il luogo dove avvenivano le udienze pubbliche del Patriarca e in cui campeggiano i ritratti dei Patriarchi e Arcivescovi, una sorta di album in 106 ritratti della storia dell’episcopato.
Tiepolo, dopo lo scalone, si era dedicato ai tondi nella Cappella Palatina e alla Galleria degli Ospiti: sembra impossibile, a noi visitatori moderni, che sia stata riservata tanta ricchezza e attenzione nel decorare l’anticamera, il luogo in cui gli ospiti o i chiamati a giudizio, attendevano l’udienza con il Patriarca.
Un recente restauro l’ha restituita alla luce naturale, riportandola agli splendori dell’epoca.
Due poi sono le curiosità di questo luogo speciale:nel dipinto centrale il Tiepolo ritrasse, in una scena rustica dedicata alla storia di Rachele, se’ stesso, la moglie e il piccolo Giandomenico e sulla cornice campeggia una figura inquietante di un caprone, che sorveglia dall’alto i visitatori.
Se proverete a camminare lungo l’anticamera, attraverso un sapiente gioco prospettico, sarete seguiti dal suo sguardo.
Insomma il Palazzo Patriarcale, odierno Museo Diocesano,
è un luogo carico di storia e bellezza che merita veramente di essere visto con i propri occhi e con il naso all’insù.
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